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San Gandolfo da Polizzi

san-gandolfoGandolfo nacque a Binasco (Milano), intorno al 1200 dalla nobile ed agiata famiglia Sacchi. Riguardo alla sua infanzia e alla sua gioventù si sa ben poco. Entrò nell’ordine francescano, quando ancora era in vita San Francesco d’Assisi, e secondo i suoi biografi, prese i voti a Palermo verso il 1224-25. Abbracciata la regola francescana e ricevuto l’ordine sacerdotale iniziò quindi la missione, e nel 1256 ricevette l’ordine di aprire il Convento di Termini Imerese (PA).
Verso la fine del gennaio 1260 Gandolfo, insieme a Fra Pasquale, si diresse verso Polizzi per andarvi a predicare la Quaresima su invito della Comunità polizzana. Arrivati nei pressi di Polizzi, in Contrada San Leonardo, oggi detta Contrada San Gandolfo, i due frati si fermarono per riprendere le forze prima di arrivare in paese.

Qui avvenne il primo miracolo del santo patrono: nei pressi di una fontana frate Gandolfo scorse un giovane muto, alla ricerca con il padre, di uno giumento. Il santo lo rincuorò, il giumento venne ritrovato ed il giovane riacquistò immediatamente la parola.
Giunto a Polizzi, Gandolfo, venne accolto in una casa alle porte della Città, da una donna detta “Pisana”. Da qui passò a soggiornare all’ospizio annesso all’ospedale di San Nicolò de Franchis. In questo luogo, Gandolfo, visse l’ultimo mese della sua vita, che coincise con la Quaresima che si accingeva a predicare e l’ultima sua predica fu proprio quella del Mercoledì Santo, il 31 marzo 1260.
Morì, confortato dai sacramenti e dalla tenera devozione dei polizzani, il 3 aprile 1260, Sabato Santo, adagiandosi su un giaciglio composto da un fascio di sarmenti e da un tronco d’albero.
Il corpo venne traslato dall’Ospedale di San Nicolò alla Chiesa Madre, dove fu adagiato sulla nuda terra. Alcuni giorni più tardi, in quello stesso luogo, si videro alcuni ceri accesi e tale usanza proseguì sino al 1320, anno in cui i devoti polizzani decisero di dare una degna sepoltura alle reliquie del venerato Frate Gandolfo.
Le ossa furono raccolte in una bianca tovaglia di lino e deposte sui gradini dell’altare maggiore: furono quindi ripulite dal terriccio e lavate prima con l’acqua e poi col vino. Successivamente vennero poste in una cassa di legno e collocate in un sepolcro più degno per la devozione dei polizzani.
Nel vecchio sepolcro, che accolse per un secolo le Sacre Spoglie, spuntarono fiori di gelsomino e tale miracolo avvenne anche nel vino col quale erano state lavate. I cittadini di Polizzi chiesero quindi al Vescovo di Cefalù che il Frate di Binasco venisse proclamato Patrono della Città di Polizzi e che si introducessero due feste liturgiche: una per commemorare la morte del santo e l’altra per il rinvenimento delle reliquie.
Nel 1482, la cassa di legno contenente le spoglie, venne collocata all’interno di un’arca marmorea opera di Domenico Gagini. Nel 1549 la cassa venne rivestita con lamine d’argento dall’argentiere Di Leo.
Nel 1579 circa sopra la cassa venne collocato il busto argenteo del Santo.
Attualmente le reliquie sono custodite nella Cappella detta “di San Gandolfo”, all’interno della Chiesa Madre, nella navata destra e vengono portate solennemente in processione la terza domenica di settembre, sopra una grande vara.urna

Fonte: sangandolfo.it

og-stemma-polizzi-generosaLa storia delle origini di Polizzi Generosa, in merito alla quale sono state avanzate diverse ipotesi, da sempre ha affascinato studiosi e storici, ed è tuttora piuttosto controversa e dibattuta.

Sul nome di Polizzi sono state fatte varie supposizioni: secondo Diodoro Siculo corrisponde all’Atene siciliana, detta per antonomasia Polis, altri studiosi fanno risalire il nome del paese dagli dei Palici, figli della ninfa Thalia, alla quale è dedicata una fonte, la Naftolia, che si trova ai piedi del colle su cui sorge la cittadina; altri storici ancora ritengono che la fondazione del paese sia avvenuta per mano dei superstiti di Palica in fuga da Ducezio.

Oltre a ciò il successivo ritrovamento di una statua triforme di lside, nei pressi del quartiere di Santa Maria Maggiore, ai piedi del castello, ha fatto avanzare la tesi che l’etimologia di Polizzi potesse anche derivare da “Polis Isidis”, cioè Città di lside. Il rinvenimento di alcune testimonianze archeologiche di età ellenistica fa ipotizzare l’esistenza di un primo insediamento, a carattere urbano, al 1V-111 sec. a.C., mentre l’attuale nucleo abitativo ha la sua origine durante la dominazione bizantina, quando le fu conferito il nome di Basileapolis (Città del Re).
Furono proprio i Bizantini, con l’intento di difendersi dagli Arabi, a stabilire la loro fortezza in una posizione strategica, sulla rocca su cui sorge l’odierno paese, riuscendo in questo modo a controllare le principali vie d’accesso alla Val Demone.

La dominazione bizantina durò fino all’882, anno in cui i Saraceni inflissero una dura sconfitta ai Bizantini, costringendoli a ritirarsi attorno alla chiesa di San Pancrazio e nel borgo in contrada San Pietro.

I nuovi dominatori invece s’insediarono nel territorio erigendo sulla Rocca una moschea (oggi Chiesa di Sant’Antonio Abate) e fissando la loro dimora nel borgo di Rahalurd (Scannali).

La conquista delle Madonie da parte dei Normanni, alla fine del 1071, segnò l’avvio di un periodo di grande sviluppo e prosperità per Polizzi, che ebbe inizio grazie all’opera svolta dal gran conte Ruggero, che fece fortificare il castello già esistente sulla Rocca e ne edificò uno nuovo in contrada Campo, in una zona strategica in quanto gli permetteva di controllare i due versanti dell’Imera Settentrionale e Meridionale e la più importante via d’accesso verso l’interno dell’isola.
Nel 1082 il territorio polizzario venne donato dal conte Ruggero alla nipote, la contessa Adelasio, Signora di Polizzi, per merito della quale il paese si estese notevolmente fino a diventare uno dei principali insediamenti fortificati dell’area madonita e riuscì a far convivere pacificamente al suo interno diverse etnie, da quella bizantina a quella araba, ma anche quelle dei latini e degli ebrei.

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Una data da ricordare nella storia del paese è il 1234, anno in cui Federico II attribuì alla città di Polizzi, in quanto demaniale, il titolo di “Generosa”, che da allora è rimasto parte integrante e distintiva del suo toponimo. Le città demaniali avevano privilegi e prerogative importanti, e per questo motivo numerose famiglie benestanti definite “nobiles” pur non essendolo, poichè la nobiltà veniva conferita con privilegio regale, in virtù dello loro ricchezza, costruirono bellissime e sontuose dimore, ottenendo dal vicerè di attribuirsi uno stemma ereditabile.
Esse rappresentarono un ceto particolare proprio della città demaniale, comunemente noto come aristocrazia cittadina, o meglio “patriziato urbano”. Tutto ciò contribuì inoltre ad alimentare una ricca e fiorente vita culturale e sociale, oltre a dare un considerevole impulso all’economia.

Nel 1282 Polizzi Generosa collaborò alla cacciata degli Angioini ed all’insediamento degli Aragonesi, partecipando ai Vespri Siciliani, e dando il proprio apporto in termini di truppe e viveri. Già nel XIV secolo il paese non solo possedeva leggi proprie, ma la suddetta legislatura si distingueva dalle altre, suscitando ammirazione per i principi di giustizia ed equità da cui era ispirata.
Ed infatti, mentre nel resto dell’isola si assisteva al progressivo diffondersi dell’anarchia feudale, Polizzi, per la fama e l’importanza che ormai aveva raggiunto, fu contesa tra i Chiaramonte ed i Ventimiglia. Questi ultimi nel 1354 ebbero la meglio e la reintegrarono al demanio regio.
Prima Filippo e poi Francesco Ventimiglia se ne assicurarono il completo dominio, sfruttando l’agitazione che interessava il governo indebolito dalle lotte tra i nobili.
La fine delle rivalità all’interno della nobiltà ed il ritorno all’ordine si ebbero solo con l’arrivo di Martino il Giovane, verso il quale la città si dichiarò vassalla, perdendo per sempre la propria indipendenza. Inoltre la guerra la indebolì al punto che Polizzi Generosa fu costretta ad indebitarsi per restare fedele alla corona e fu proprio per far fronte a questi nuovi sopraggiunti debiti, che il suo territorio venne ceduto al feudatario Raimondo Caprera. Il popolo si unì allora nella comune e ferrea volontà di riscattare la propria libertà e riuscì a raccogliere lo considerevole somma di 10.000 fiorini da versare nelle casse regie per annullare l’atto di compravendita.
Per questo motivo nel 1442 il re Alfonso di Aragona tolse la città a Raimondo Caprera e la restituì al demanio, stabilendo inoltre, il 20 aprile 1445, che non poteva mai più essere venduta e che da quel momento nessun regnante avrebbe potuto staccarla dal Regio Demanio. Si trattava di un diritto irrevocabile spettante al popolo di Polizzi, da difendere, anche con le armi, in nome dello stesso re.
Il periodo di maggior splendore e notevole fioritura artistica per il paese fu raggiunto durante il Rinascimento, grazie ai privilegi legati alla posizione geografica che la poneva al centro di un nodo viario principale del sistema di comunicazione.
Anche la vita culturale fu particolarmente attiva in quel periodo, come testimonia l’apertura della prima scuola pubblica, dell’acquedotto per l’erogazione dell’acqua a tutti gli abitanti e di una scuola di “prime lettere” estesa successivamente ai corsi di studi superiori.
Le difficoltà legate alla siccità del 1548 ed al diffondersi della peste nel 1575-76 diedero inizio ad una fase di progressiva decadenza che segnò profondamente il paese, arrivando a dimezzarne il numero degli abitanti.

Superata questa fase gravosa Polizzi Generosa non riuscì comunque a ritrovare la serenità passata, e la sua vita sociale fu contraddistinta da forti scontri tra i nobili al potere e gli esponenti della nuova classe borghese, detti “i civili”, alle quali era stato concesso il diritto di concorrere alle cariche pubbliche.

Alla fine del XIX secolo si ebbe una ripresa economica, testimoniata soprattutto dalla presenza di varie attività commerciali all’interno del territorio polizzario.
Vanno comunque elogiati l’impegno e la laboriosità dei suoi cittadini, che hanno da sempre costituito un segno distintivo del paese, tanto da renderlo all’avanguardia nella realizzazione di molte opere di grande valore sociale, come ospedali e fontane, oltre all’importante introduzione della luce elettrica nel 1901, prodotta a valle del paese grazie all’ingegnoso utilizzo di un vecchio mulino ad acqua, chiamato “Mulino Canziria”.

Tratto dal sito Web del Comune di Polizzi : http://www.comune.polizzi.pa.it/

I Frati per la Via 2

Frate Umile da Petralia

Frate Umile da Petralia

Giovan Francesco Pitorno meglio noto come frate Umile da Petralia, (Petralia Soprana, 1600Palermo, 9 febbraio 1639) è stato uno scultore e religioso italiano.

Figlio di un legnaiuolo, si formò in un ambito artigianale, nelle botteghe di intagliatori delle Madonie e forse a Palermo.

Il padre Giovan Tommaso Pintorno da Geraci è “maestro di legname”, la madre Antonia Buongiorno appartiene a nobile casato. Il giovane Giovan Francesco cresce in una famiglia numerosissima costituita da 16 figli, la pianificazione di un matrimonio combinato condiziona le sue scelte e trova nella vocazione religiosa la ragione di vita.

Entrò nell’ordine dei Frati Minori Osservanti nel 1623, prendendo il nome di Umile, ed iniziò un’attività di scultore in legno specializzandosi nei crocefissi policromi.

Nel novembre 1623 il flagello della peste nera imperversa nell’isola in due ondate d’epidemie successive diffuse nel (16241626), (16291631) e miete numerose vittime. Fu proprio lo scontro con la dura realtà della malattia e della morte a determinare in modo decisivo il grande realismo delle sue sculture.

La presenza di scultori in legno tra i francescani, sia prima che dopo fra’ Umile, fa pensare ad un’attività di scuola artistica all’interno dell’ordine in cui Giovan Francesco abbia potuto completare la propria preparazione artistica.

La vena artistica sviluppata nella bottega paterna, maturata a Palermo, successivamente consolidata nell’ambito di una produzione permeata dallo stile di artisti a lui territorialmente e ecclesiasticamente noti: i Li Volsi di Nicosia famiglia di scultori statuari, i Ferraro di Giuliana famiglia di grandiosi decoratori a stucco, i Lo Cascio famiglia di intagliatori di Giuliana e Chiusa Sclafani, i Gagini famosissima famiglia di scultori e marmorari rinascimentali della corrente lombardo-ticinese-siciliana, il milanese gesuita Gian Paolo Taurino abile scultore in legno.

La sua biografia risulta piuttosto oscura, anche a causa di una tradizione ricca di aneddoti miracolistici tramandata da scrittori francescani, desiderosi di far apparire la sua opera come frutto di un dono divino.

Realizzò le sue opere vagando per tutta la Sicilia, seguendo le numerose commissioni che gli arrivavano. Negli ultimi anni, forse malato, si fermò a Palermo nel convento di Sant’Antonio dove formò una scuola con numerosi discepoli.

Frate Umile da Petralia è sepolto nella Chiesa del Convento di Sant’Antonio da Padova o Sant’Antonino di Palermo

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Opera

Personalità ascetica e penitenziale la sua opera si caratterizza per uno stile personale di grande drammaticità che enfatizza la sofferenza ed il dolore e che ebbero una grande fortuna nella Sicilia del XVII secolo. Il forte espressionismo del volto, l’enfasi dato alle ferite, ai lividi ed al sangue, richiamano opere nordiche, ma sono perfettamente inserite nelle direttive culturali della Controriforma, nei temi iconografici prediletti dai francescani fin dal Medioevo, e nella cultura spagnoleggiante della Sicilia seicentesca.

La sua opera è legata da comunanza di temi e di espressione con quella del conterraneo frate Innocenzo da Petralia

Nella sua opera ripete incessantemente l’unico modello iconografico del Cristo morto in croce, dalle prime opere (Petralia Soprana) fino a quelle ultime della maturità (Collesano, Milazzo, Bisignano) che rappresentano una figura slanciata e smaterializzata (Chiesa di San Giuseppe e convento di sant’Antonino a Palermo).

I suoi crocifissi si trovano in numerose chiese degli ordini religiosi che all’epoca, in Sicilia, avevano praticamente il monopolio della committenza artistica. Così molti paesi siciliani possono vantare un’opera di fra’ Umile (Aci Catena, Agira, Agrigento, Aidone, Caltagirone, Caltanissetta, Campobello di Mazara, Castrofilippo, Catania, Cerami, Chiaramonte Gulfi, Comiso, Enna, Ferla, Gangi, Messina, Mistretta, Mojo Alcantara, Mussomeli, Naro, Palermo, Piazza Armerina, Pietraperzia, Randazzo, Salemi) ma anche alcune in Calabria (Cutro, Bisignano), Campania (Afragola e Polla) e Basilicata (Miglionico).

Una trentina di opere sono certe, altrettante attribuite e molte quelle riferibili alla sua scuola. Secondo la tradizione orale popolare assommerebberò a 33 i Crocifissi realizzati, ipotesi sostenuta da un presunto voto o fioretto attribuito al Frate scultore itinerante. È pure vero che per abilità, competenza, piena dedizione, dalla commissione alla realizzazione e consegna di alcuni capolavori, trascorre un arco temporale di appena dieci giorni.

L’attività itinerante di Frate Umile suscitò un vasto movimento artistico all’interno dell’ordine, parallelamente attorno alla sua figura si sviluppa una scuola e si formano talenti di grosso calibro: il concittadino e confratello Frate Innocenzo da Petralia, il trapanese Frate Benedetto Valenza, Frate Stefano da Piazza Armerina attivo in Lazio (Carpineto e Tivoli), Frate Vincenzo da Bassiano, Frate Angelo da Pietrafitta attivo nel Meridione (Calabria, Basilicata, Puglia e Lazio), il palermitano Francesco Gallusca presente a Polizzi Generosa, Frate Giovanni da Reggio Calabria, Frate Diego da Careri attivo a Napoli e presente in Lazio, Lombardia e Sicilia.

Nella sua produzione compaiono anche alcuni rari Ecce Homo (Mesoraca, Dipignano e Calvaruso) o Cristo alla colonna (Militello in Val di Catania) con gli stessi caratteri dei crocefissi. Unico esempio di Santo scolpito nel 1642 dal Pintorno fu il simulacro di San Calogero eremita a Petralia Sottana venerato come patrono del paese.

 

 

Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Umile_da_Petralia

 

 

 

 

La questua

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Soprattutto nella tradizione cristiana, la questua è l’atto di andare di porta in porta a elemosinare offerte, soprattutto in cibo, in genere con significati connessi alla penitenza o al voto di povertà (come nel caso degli ordini mendicanti che avevano dei monaci addetti a questo scopo specifico, detti, per l’appunto, questuanti). La questua ha l’obiettivo di sostentare la comunità di religiosi ed effettuare opere di carità per i poveri.

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Frate Questuante nelle calle di Venezia

“Le Fonti Francescane tratteggiano ampiamente e con ricca dovizia di particolari proprio quello che può essere ed è  definito “l’elogio della mendicità“.
Il Capitolo IX delle Fonti tratta proprio “Del chiedere l’elemosima” e così esordice:
Tutti i frati si impegnino a seguire l’umiltà e la povertà del Signore nostro Gesù Cristo, e si ricordino che nient’altro ci è consentito di avere, di tutto il mondo, come dice l’apostolo, se non il cibo e le vesti, e di questi ci dobbiamo accontentare“.
L’ “umiltà e la povertà del Signore nostro Gesù Cristo” che non “si vergognò; e fu povero e ospite, e visse di elemosine lui e la beata Vergine e i suoi discepoli” per Francesco deve essere dunque elevata a “regola” di vita. Regola di vita, mezzo, non fine a se stesso, per giungere al bene superiore: “il vantaggio delle anime“. E qual miglior vantaggio per le anime della questua? Essa procura vantaggio all’anima del questuante come fonte di umiliazione facendogli vincere l’amor proprio e ogni residuo di superbia e presunzione -che ricordiamolo, furono all’origine della caduta del demonio- e i frati “per tali umiliazioni riceveranno grande onore presso il tribunale del Signore nostro Gesù Cristo“; i frati questuanti procurano inoltre vantaggio alle anime di coloro che donano: “grande ricompensa la fanno guadagnare e acquistare a quelli che la donano; poiché tutte le cose che gli uomini lasceranno nel mondo, periranno, ma della carità e delle elemosine che hanno fatto riceveranno il premio dal Signore“.fra-nicola-da-gesturi-durante-la-questua

Oggi la tradizionale questua porta a porta è stata in gran parte abbandonata e la questua viene per lo più effettuata nelle chiese, nei conventi e negli edifici di proprietà degli enti ecclesiastici. Le questue possono essere effettuate anche per il finanziamento di feste religiose. Le norme ecclesiastiche stabiliscono che le questue non possono essere effettuate in luoghi pubblici; inoltre devono essere autorizzate dall’ordinario del luogo, ad eccezioni di quelle effettuate dagli Ordini mendicanti” (tratto da “L’importanza della questua per San Francesco, e quanto la raccomandava ai suoi frati” vivifica.worpress.com).

La pratica della questua è presente anche in altre religioni. Nel Buddhismo i monaci si procurano il sostentamento elemosinando offerte di cibo ed altri generi essenziali; le elemosine ai monaci rappresentano per i laici buddhisti un dovere spirituale.

Al di fuori dell’ambito religioso, la questua viene spesso associata con la musica popolare: i cantori che portavano la musica di casa in casa venivano infatti ricompensati raramente con denaro, ma più comunemente in natura (cibo, vino, ecc.). In alcuni casi questa tradizione ha dato origine a uno specifico genere musicale; nelle Marche, per esempio, canzoni popolari come Cantamaggio, Pasquella e Passione e danze come il saltarello marchigiano sono esempi di musica di questua.

Modello di Frate questuante dalla eroiche virtù cristiane fu senza dubbio San Felice da Nicosia, paese della provincia di Enna, al secolo Filippo Giacomo Amoroso.

stfelicedanicosiaDopo la morte dei genitori, chiese inutilmente per ben sette anni di essere ammesso fra i frati cappuccini di Nicosia, ma veniva sempre rifiutato perché analfabeta. Infine, d
al padre provinciale di Messina in visita a Nicosia, venne ammesso ad entrare nel convento dei cappuccini della vicina cittadina di Mistretta, dove venne consacrato con il nome di Felice.

Dopo un anno tornò a Nicosia, dove si dedicò alla questua
assieme al fratello, visitava sia le case dei ricchi per invitarli a condividere i loro beni, sia quelle dei poveri per dare loro conforto materiale e spirituale. Era molto paziente anche quando veniva scacciato malamente. Definiva se stesso ‘u sceccareddu, l’asino che portava sulla soma tutto quanto aveva raccolto al convento. Il superiore spesso lo trattava duramente, lo scherniva dandogli nomignoli quali “gabbatore della gente” e “santo della Mecca”, fra Felice rispondeva umilmente dicendo: «sia per l’amor di Dio».

programma POLIZZILa Via dei Frati è una via dinamica, imprevedibile e piena di sorprese! Per questo abbiamo deciso di percorrela questa primavera da un altro punto di vista: dal mare al centro, da Cefalù a Caltanissetta.

L’idea nasce da una riflessione. Spesso camminando siamo portati a guardare avanti, ad ammirare il paesaggio che cambia mentre i passi diventano sempre più numerosi  e la meta più vicina. Raramente ci si volta a guardare la via  percorsa, o magari lo si fa dopo un percorso difficile per vedere quanta strada si è lasciata dietro.

Camminando sulla Via dei Frati all’incontrario vogliamo vedere quello che ci siamo perso! Cosa non abbiamo visto lo scorso Agosto e raccontarvelo. Con lo stesso spirito ma da una altro punto di osservazione. Penso sempre di più che la Via dei Frati è un bel progetto di cammino e che per farlo bene occorre farlo non solo con le gambe ma anche con il “cuore”. Con la voglia di scoprire e di continuare a meravigliarsi sempre di più delle bellezze del nostro paesaggio.

Dal 28 Aprile partiremo da Cefalù e saliremo per la prima tappa a Gibilmanna dove trascorreremo la prima notte prima di affrontare le altre 8 tappe della Via dei Frati, fino all’arrivo a Caltanissetta previsto il 6 Maggio 2017, dove concluderemo il nostro cammino al Museo Diocesano.

 

La Via dei Frati ha costruito nel tempo rapporti con varie realtà locali, enti ecclesiastici, privati e commerciali (B&B e case vacanze) per consentire a chiunque di intraprendere il cammino e avere la possibilità di un alloggio nei luoghi di sosta.

Il viandante che affronta la Via dei Frati NON E’ UN SEMPLICE TURISTA, ma un amante della natura, uno esploratore di luoghi, un ricercatore di rapporti umani.

L’umanità che scoprirete lungo la Via vi coglierà di sorpresa e vi lascerà senza fiato….sarete accolti come amici, come persone di famiglia, ovunque sarete!

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L’antico “Ospizio” di Resuttano, attuale sede del Museo etno-antropologico.  Gli Ospizi erano strutture lontane dai Conventi maggiori e utilizzati dai Frati che le dimoravano per brevi o medio – lunghi periodi. Sullo sfondo l’attuale Ostello del Comune.

La Credenziale

Ogni Cammino lascia un segno nel cuore di chi lo percorre. Allo stesso modo ogni luogo attraversato regala al pellegrino una emozione da portare a casa, conservandola come un prezioso ricordo.

La Credenziale del Pellegrino è lo strumento di viaggio su cui applicare il segno visibile del passaggio: il timbro che attesti che una giornata di cammino si è conclusa.

Lungo la Via dei Frati sono tanti i luoghi dove sarà possibile ricevere il timbro del passaggio, nelle Chiese principali o nei comuni o negli uffici turistici.

La Via dei Frati è un progetto collettivo e aperto a tutti, nato dall’impegno volontario, senza nessun scopo di lucro.

Compilando il modulo in basso potete chiedere la credenziale che vi verrà spedita a casa vostra, e se vi fa piacere potete dare un segno della vostra gratitudine contribuendo alle spese di spedizione o con una piccola offerta, per permettere la stampa delle nuove credenziali e degli strumenti per mantenere agevole  e ben segnato il percorso.

I nostri riferimenti sono:

Conto PAYPAL  intestato a:

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Codice IBAN IT54A0623003201000064384115

BIC / SWIFT CRPPIT2P595

La Credenziale del pellegrino della Via dei Frati, è testimone silenziosa dello spirito della Via: camminare con la gioia di scoprire, conoscere e condividere, esperienze, luoghi e persone.

Chiedete la Credenziale compilando il modulo qui in basso e se possibile indicate il motivo che vi spinge a camminare sulla Via dei Frati.

Si consiglia di chiedere la spedizione della credenziale almeno 15 giorni prima in modo da organizzare al meglio l’invio. 

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Santuario Madonna dell’Olio

 

Nell’ex feudo di Castel Bilici nei pressi di Marianopoli in provincia di Caltanissetta, ma non distante anche da Villalba e Vallelunga, sorge il Santuario di U Signuri di Bilìci.  In questa piccola chiesa  posta in cima ad una scalinata a circa 500 metri sul livello del mare  si venera con particolare devozione  un antico crocifisso  ligneo ritenuto taumaturgico e realizzato (ma di ciò non v’è certezza)  nel XVII° secolo da frate Innocenzo da Petralia.

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Il Santuario

Tanti i fedeli che vi giungono soprattutto il 3 di maggio ma anche il 15 di agosto giorno della esaltazione della croce per prostrarsi ai piedi dell’unico altare sul quale è situata l’antica immagine.  La chiesetta, se pur scarna, conserva comunque al suo interno un gran numero di ex voto testimonianza della grande devozione dei tanti fedeli che hanno ottenuto grazie per intercessione di U Signuri di Bilìci,  come lo chiamano in zona. Architettonicamente il santuario non presente elementi di particolare pregio anche perché rimaneggiato dopo lungo abbandono, anticamente infatti sorgeva sul posto un castello ducale; ai piedi è ancora visibile una angusta grotta dove si dice sia stato scolpito il crocifisso. Poco più avanti su una altura campeggia una croce ai piedi della quale tanti fedeli in segno di devozione depongono nastrini rossi. Siamo nella assolata campagna della Sicilia centrale ed anche questo luogo “nascosto” merita di esser visitato magari unendosi  ai  tanti pellegrini che in particolari occasioni li giungono anche dai centri vicini percorrendo  a piedi scalzi  in segno di penitenza gli ultimi tratti del percorso. (tratto da siciliafan.it)

 

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